Perché siamo scontenti? Su questo tema, al quale ha dedicato il suo ultimo libro, l’intellettuale Marcello Veneziani è intervenuto al secondo appuntamento della rassegna culturale, diretta da Raffaele Gaetano, “Il Sabato del Villaggio”.
Una conversazione molto interessante tra Gaetano e Veneziani ha messo in evidenza quelli che sono i tratti propri della società contemporanea che, secondo Veneziani, è caratterizzata dalla scontentezza.
“Viviamo in un’epoca – ha detto Veneziani – in cui prevale la paura verso il futuro e la scontentezza è un sentimento molto diffuso, derivando dal divario tra realtà e aspettativa: non ottenendo ciò che desideri, sei scontento”.
Pur essendo oggi la scontentezza un termine oltre che un atteggiamento molto diffuso, in effetti non esiste un’analisi su questo tema, non c’è un saggio che lo affronta. È stato scritto tanto sulla felicità e sull’infelicità, ma nulla su questo sentimento che sembra essere il male oscuro del nostro presente. Oggi c’è questo sentimento che precede il risentimento, da cui provengono poi rancore e odio verso la realtà.
Dice Veneziani: “Un filo di scontentezza attraversa la modernità occidentale, questo è certo, ma credo che oggi ci sia qualcosa di patologico che sia legato proprio al nostro tempo come odio verso il reale e che ciò che è reale va rimosso: questo il male proprio della scontentezza contemporanea”.
Nel corso dell’interessante dialogo tra Gaetano e Veneziani emerge poi come la scontentezza possa essere un veleno o un farmaco, a seconda del nostro approccio nei confronti della vita. Non v’è dubbio che oggi viviamo meglio di ieri, disponendo di più comodità, più benessere e più mezzi di ogni genere a disposizione per rendere migliore la nostra vita. Ma è evidente che questo non basta poiché la paura verso il futuro, sopra citata, domina. E allora ecco l’emergenza climatica, sanitaria, economica e anche sociale.
“Una sorta di industria dei desideri frustrati – spiega Veneziani – che è alla base della scontentezza. Il potere ci vuole scontenti così controlla. Da alcuni anni assistiamo al partito sommerso degli scontenti. Nel nostro paese politicamente vince il partito dello scontento. La politica con il passare degli anni conta sempre meno. Le grandi decisioni avvengono in circuiti chiusi”. “La politica non riesce più a prendere decisioni ma tende a uniformarsi fino a inglobare le differenze e si registra la perdita delle differenze nel segno dell’omologazione”.
E dunque, prosegue “Essere scontenti della nostra città, del nostro genere (maschile e femminile) è un continuo separarci dalle nostre radici. Sia nella contentezza che nella scontentezza c’è una capacità di accettare la vita senza vivere questo rapporto conflittuale, quindi essere contenti è una virtù ma quando accetti con rassegnazione ciò che accade significa che ti accontenti e quindi la contentezza diventa un vizio. C’è anche una scontentezza come energia e diventa un motore di ricerca per giungere a migliorare. Quindi la scontentezza può essere un veleno o un farmaco”.
“Gli scontenti di solito lo sono in riferimento a situazioni specifiche ma ci sono alcuni che non sono mai contenti e l’incontentabilità diventa anch’essa scontentezza: una forma di egoismo che fa adagiare in quello che c’è senza migliorare o fare niente per cambiare la società”.
“Per recuperare la compiutezza della vita abbiamo necessità di confrontarci col mito e col senso dell’eterno. Viene meno il senso dell’umanità se il ragazzo vive al solo presente e al solo io. L’Italia è stato un popolo sempre scontento. Noi viviamo da barbari assonnati rispetto alle bellezze del nostro paese. Il nostro sud si va spopolando in maniera preoccupante. I giovani che vanno via dovrebbero tenere in seria considerazione la possibilità di tornare per costruire qui. Bisogna cambiare mentalità poiché la globalizzazione non è un destino ineluttabile. La fine della nostra libertà è pensare che non siano alternative”.
Nel corso dell’incontro gli studenti del Liceo Fiorentino hanno posto alcune domande all’intellettuale, precedute da brillanti riflessioni, segno questo di una gioventù, o almeno, una parte di essa, che pensa e comunica, nella speranza di vivere la scontentezza come un farmaco che possa migliorare la società in cui viviamo oggi e che sarà “governata” da loro domani.
Il prossimo appuntamento del Sabato del Villaggio vedrà la presenza di Giovanni Chinnici, figlio di Rocco, il magistrato ucciso dalla mafia a Palermo nel luglio del 1983.
Candida Maione