“Dietro la parola sanità ci sono tante persone ammalate ed è lì che dobbiamo intervenire ed operare con quella caratteristica che sa distinguere e mettere insieme la cura della malattia e il prendersi cura della persona”.
Questo, in sintesi, potrebbe essere il messaggio che il Vescovo, monsignor Serafino Parisi, ha inteso lanciare stamani nel corso della Sana Messa da lui presieduta nella cappella dell’ospedale Giovanni Paolo II di Lamezia Terme, in occasione della XXXIII giornata mondiale del Malato.
“Quando entro in un ospedale – ha detto monsignor Parisi – ho sempre la sensazione di entrare dentro un tempio, in una chiesa, perché qui c’è la parte dell’umanità più importante per noi in quanto l’uomo,l’umanità, che si trova dentro un letto di un ospedale è la rappresentazione concreta della nostra condizione” che “non è quella di chi è onnipotente”. Infatti, “la nostra condizione, anche quando stiamo bene, viene chiusa sempre dentro il grande cerchio del limite, della finitudine e della fragilità: io sto bene, ma dentro quel letto ci sono anche io. E questo discorso è talmente universale che supera quelle categorie affettive che spesso ci portano a giudicare e valutare ad attivarci. Io non sono interessato all’altro perché è mio parente, ma sono interessato all’altro perché in qualche modo c’è un legame e mi appartiene e perché è nella fragilità e nella piccolezza che si scopre la grandezza dell’uomo” ed “io devo intervenire con professionalità, competenza, coerenza e umanità, responsabilmente, per la cura della malattia. Poi, c’è un altro passaggio che quella fragilità mi mette davanti ad uno specchio e io nell’ammalato ri-specchio la mia umanità, l’essere persona umana con una vitalità fortemente riconoscibile. E allora lì, lo sapete bene soprattutto voi che siete medici, paramedici, non curo più la malattia, lì mi prendo cura della persona”.
“Ma, che cos’è la cura – ha chiesto monsignor Parisi -? La cura è l’intervento sulla malattia strettamente tecnico,professionale, professionalizzato e specializzato che mi consente, appunto, per quanto è possibile, di intervenire sul problema, ma non basta. A volte la gente da noi se ne va scontenta perché dopo la cura o insieme alla cura non riusciamo a prenderci cura della loro condizione, della loro situazione”. Infatti, “se la cura blocca – si spera – la malattia e quindi interviene sul presente, il prendersi cura interviene sul futuro della persona”. Prendersi cura, quindi, “significa farmi responsabile del futuro della persona che ho davanti a me: questo è il grande passo che siamo chiamati a compiere e qui non ci sono medicine, attrezzature o sovrastrutture che tengono. Qui c’è semplicemente la responsabilità che interpella direttamente il cuore della persona umana, il cuore del mondo”.
Al termine della funzione religiosa, trasmessa in filodiffusione nei reparti, è intervenuto il direttore sanitario, Antonio Gallucci che ha ringraziato il Vescovo “per le parole importanti sul binomio tra curare e prendersi cura che la sua omelia ci ha regalato e che mi hanno toccato il cuore. È nella nostra umanità che si completa la nostra professione”.