Un segno per “vedere con gli occhi del corpo” il Mistero dell’Incarnazione, un’intuizione per molti versi “innovativa” quella che spinse Francesco d’Assisi nel 1223 a realizzare la prima rappresentazione della Natività di Gesù a Greccio, nel cuore della valle santa reatina. Ottocento anni dopo, riguardando quelle scene attraverso le quali il Poverello d’Assisi volle osservare i disagi e la povertà che segnarono la nascita del Bambino Gesù, si colgono messaggi attuali: la vocazione e il ruolo dei laici e delle donne nella vita della Chiesa, la pace, la disponibilità a lasciarsi attrarre dallo stupore di fronte al Mistero anche oggi, in una società che pretende di dare risposte a tutto o di “virtualizzare” la realtà.
Questi alcuni passaggi della conversazione sugli 800 anni del Natale di Greccio, tenuta da fra Ippolito Fortino dei Frati Minori Cappuccini di Calabria, nell’ambito dell’iniziativa promossa dalla fraternità francescana secolare “S. Elisabetta d’Ungheria” di Lamezia guidata dalla ministra Giuseppina Fiore insieme alla comunità dei cappuccini del convento di S. Antonio di Padova.
Il frate cappuccino ha evidenziato il legame tra i due anniversari che, a cavallo tra il 2023 e il 2024, coinvolgeranno l’intera famiglia francescana universale: gli 800 anni dal presepe di Greccio e gli 800 anni dall’impressione delle stimmate che Francesco d’Assisi ricevette sul monte della Verna nel settembre 1224.
Nove mesi dopo la rievocazione della natività a Greccio, Francesco riceverà i segni della Passione di Cristo “due eventi che richiamano le due grandi “passioni” di Francesco: l’Incarnazione del Verbo e la Passione di Gesù. Nell’introduzione al racconto del Natale di Greccio, il Celano ricorda come Francesco avesse sempre impresse nella memoria l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione del Figlio di Dio. Questo era il Vangelo per Francesco, questo era il senso della sua vita. Domandiamoci: è così anche per noi? La fede è qualcosa di privato, intimistico, relegato ad alcuni momenti, o la passione per il Vangelo trascina tutta la nostra vita?”.
Fortino ha sottolineato come, all’inizio dell’intuizione di Francesco, vi fu l’amicizia con Giovanni, un cavaliere nobile, a capo del “castrum” di Greccio. Da qui, si mette in evidenza “il coinvolgimento di quelli che oggi chiameremmo i laici e, in seguito, delle donne che, come ci racconta il Celano, accorsero insieme a tutto il popolo, senza distinzioni di classi sociali e di appartenenza, nel cuore della notte, per assistere alla rappresentazione della Natività e alla Santa Messa. In quel momento storico, nel Medioevo, era impensabile che delle donne uscissero di casa in piena notte, in una foresta”.
“Il presepe di Greccio non fu una miniatura o una riproduzione – ha rimarcato fra Ippolito – ma un presepe vivente. Senza maschere o costumi, ma con le persone reali che furono convocate attorno alla mangiatoia, superando le differenze e i contrasti. Nel presepe di Greccio ci sono il bue e l’asinello, che rappresentano rispettivamente il popolo d’Israele e gli altri popoli. La pace di Betlemme, che contempliamo nel presepe di Francesco, è proprio questa: ritrovarsi attorno alla mangiatoia dove è nato il Bambino, attorno all’altare dove ogni giorno riviviamo l’Incarnazione e la Passione del Signore nella celebrazione eucaristica. Attorno al presepe di Greccio, è rappresentata la riconciliazione universale, un invito alla pace di cui il mondo, in particolare in questo momento storico, ha urgente bisogno”
“Ottocento anni fa – ha concluso Fortino – Francesco ha voluto dirci che Betlemme era ed è anche a Greccio, che Gesù si può incontrare ovunque, in quelle che oggi Papa Francesco chiama le periferie esistenziali del nostro tempo. Francesco ci ha indicato per sempre come approcciarci alla scena del Presepe con fede, stupore, tenerezza”.
Ad introdurre l’incontro, il guardiano della comunità dei Cappuccini di S.Antonio di Padova fra Biagio Bonasso che ha invitato a “riscoprire, guardando il Presepe, che Dio ci ha davvero donato Tutto, non abbiamo bisogno d’altro. Contemplando il Presepe, noi possiamo renderci conto ed essere grati ogni giorno per il grande dono che Dio ci ha fatto”.