“La vera domanda che la memoria di oggi ci deve far fare, proprio per quella etica delle responsabilità che riguarda ed investe ciascuno di noi, non è ‘Dio dove era?’, la domanda è ‘l’uomo dov’era?’”. Questo uno dei passaggi dell’omelia pronunciata dal vescovo di Lamezia Terme, monsignor Serafino Parisi, nel corso della celebrazione eucaristica officiata a Decollatura in suffragio delle vittime della tragedia della Fiumarella avvenuta il 23 dicembre 1961.
Un momento di forte commozione e di ricordo di una triste pagina non solo per “Decollatura che – come ha ricordato il Vescovo – ha perso trentuno dei suoi piccoli, dei suoi giovani, delle persone ormai mature, ma anche per tutto il circondario, per tutta la provincia catanzarese. Direi che la ferita è una ferita che riguarda la regione e l’intera nazione”.
Quindi, nel fare riferimento alle letture del giorno, monsignor Parisi ha sottolineato: “Dentro la parola di Dio di questa sera trovo una indicazione. La prima lettura parla di una vita, addirittura era la vita del re Acaz, in un certo senso bloccata: un’esistenza senza futuro, tante attese che sembravano essere ormai finite, senza continuità, senza realizzazione. È qui, dentro la vicenda molto particolare di questo re Acaz, nei suoi dubbi, nelle sue domande, nella sua tensione, nell’amarezza di chi pensa di essere stato abbandonato da Dio, che io vedo un riferimento chiaro per la lettura della celebrazione che stiamo facendo questa sera per i 71 morti della Fiumarella. Sì, amarezza, delusione, senso di abbandono delle famiglie che di fronte a quella sciagura immane avranno senz’altro dubitato dell’esistenza di Dio. Penso che avranno anche gridato contro e avranno espresso nella loro vita, o comunque in quel momento, il grande dramma della solitudine, dell’abbandono ed uso una parola che noi credenti non dovremmo avere mai sulle nostre labbra, però storie come questa te la fanno venire nel cuore, nella mente, sulla bocca, avranno sperimentato la disperazione. Tutti questi sentimenti sono scritti nella vicenda del re Acaz perché anche lui aveva tanta speranza. Io penso a quelli che avevano quattro, cinque, otto anni, poi gente di 40, 46, 51 anni, il più anziano 77 anni e gli altri tra i 15 ed i 20 anni. C’erano lavoratori, i cosiddetti pendolari, c’erano professionisti, c’erano anche tanti studenti – lo abbiamo sentito nella ricostruzione storica che è stata fatta – . Famiglie che magari non mangiavano per dare la possibilità ad un figlio di andare a studiare: era il grande legittimo sogno di riscatto”.
“Ma c’era molto di più – ha proseguito monsignor Parisi – . C’era anche la volontà di contribuire intelligentemente alla crescita di questo nostro territorio. Ecco perchè ci si si avventurava per lo studio. Si andava lontano, si viaggiava, mattina e pomeriggio per guardare la vita dalla prospettiva critica, per appropriarsi di tutti quegli strumenti che poi avrebbero certamente fatto crescere la singola persona, avrebbero dato anche riscatto alla famiglia, ma, soprattutto, avrebbero dato un contributo a tutto il territorio ed alla società. Tutto questo finisce in una mattina”. Ed oggi, dopo 61 anni le cose non sembrano essere cambiate: “Come infrastrutture – ha evidenziato il Vescovo – siamo a 60 anni fa. Non solo loro (le vittime, ndc) hanno visto infrangere il sogno del loro futuro, ma oggi noi che siamo nel loro futuro stiamo dicendo che non c’è molta diversità rispetto al passato” anche se “alcuni timidi passi sono stati fatti. Ecco perché dico che ancora oggi, forse, noi abbiamo la consapevolezza che quella ferita non è stata una ferita di una sola comunità ma è stata la ferita di una regione e di una nazione perché siamo fermi ancora lì ancora a 60 anni fa”.
“Fare memoria – ha aggiunto monsignor Parisi – significa certamente riportare il passato nel presente e fare memoria significa trasformare il futuro con il nostro impegno oggi e qui. Chiediamolo al Signore nel nome di tutti i morti per le negligenze umane e chiediamolo in modo particolare nel nome di questi nostri 71 fratelli e sorelle. La memoria ci fa dire, proprio per quel senso di responsabilità, non solo ‘uomo dome dov’eri?’, ci fa dire ‘uomo dove sei oggi?’”. Da qui la sollecitazione ad “entrare liberamente e responsabilmente, da credenti, nella storia con la forza del Vangelo che è fiducia per noi, ed in questo modo contribuire alla svolta di tutto il contesto umano e sociale”.