«La predicazione cristiana è comunicazione di esistenza, non di dottrina»
Le parole di Søren Kierkegaard fanno da cornice ai risultati della ricerca che l’Università cattolica di Milano ha condotto, negli ultimi mesi, sul rapporto tra la Chiesa ed il mondo digitale.
“Nulla sarà più come prima”, si è sempre detto parlando del futuro, che per noi affonda le sue radici nella pandemia. Le parrocchie italiane ne sono il segno evidente: secondo i ricercatori milanesi, che hanno effettuato i loro studi considerando un campione di 420 parrocchie, più di una su due utilizza con regolarità whatsApp e telegram, la mail e una pagina Fb per mantenere i contatti e creare relazione nella comunità parrocchiale. Non solo: in 300 di esse ci si avvale dei social non per mere comunicazioni, bensì per entrare in relazione e creare interazioni, mentre in una parte minoritaria, ma comunque statisticamente rilevante la rete è già utilizzata per instaurare collaborazioni a distanza e prendere parte alla vita parrocchiale.
Pur nell’attesa dell’irrinunciabile ritorno all’attività “in presenza”, insomma, pare prendere piede un insieme di buone pratiche telematiche, a garanzia di un uso composito di strumenti nella pastorale. Tutto ciò porta a delle riflessioni: il confronto su temi “ultimi” come l’anima, il male e il bene, l’etica, esige attenzioni e cautele in un tempo in cui i social network hanno rivoltato le antiche grammatiche mediatiche, imponendo una narrazione immediata, diretta ed incisiva, condita da una bulimia informatica non di rado seguita da un’anoressia critica. È mutato il modello sociale prevalente: se 30 anni fa risultavano centrali le relazioni strette, oggi tutto è spostato sull’io che comunica con una platea indefinita di altri soggetti. Ma comunicare senza vedere l’interlocutore in faccia ha favorito una comunicazione che si basa sul piano delle nude informazioni, non sempre attendibili, senza alcuna implicazione tra chi parla (o scrive) e chi ascolta (o legge).
È in questa dimensione che si radica l’impegno al quale i cristiani sono chiamati: se il vertiginoso diffondersi dei “social media” non ha lasciato spazio per una risposta culturalmente adeguata ai nuovi codici comunicativi, educazione all’uso del mezzo e senso di responsabilità sono fondamentali. Non si tratta di demonizzare strumenti preziosi, quanto di impiegarli gli stessi per l’affermazione del bene, nell’ottica di quanto già sant’Agostino chiariva: «Preferisco essere capito da un pescatore che lodato da un dottore».
Insomma, un linguaggio astratto, fatto solo di concetti, quand’anche informato, parla alla mente, non al cuore. Al popolo delle parrocchie, carne viva della Chiesa, è richiesto di andare oltre. Di formarsi, di educare, di privilegiare un linguaggio concreto, di verità, rivestito di immagini, simboli, storie vissute, riferimenti concreti alla vita ed agli interessi della gente, come la Bibbia da sempre testimonia. «Internet è un dono di Dio», ricorda papa Francesco, «ma è anche una grande responsabilità: la rete digitale non sia un luogo di alienazione, ma un luogo concreto, ricco di umanità».
+ Vincenzo Bertolone