“Accolti con calore ed entusiasmo dalla nostra enciclopedica guida del Parco Nazionale del Pollino, dott. Nicola Mele e dal vicesindaco di S. Agata d’Esaro, dott.ssa Adriana Amodio, ci rechiamo subito al Centro Visita Grotta della Monaca, dove l’archeologa e speleologa dott.ssa Antonella Laino ci illustra con dovizia di particolari e passione palpabile (ha partecipato lei stessa agli scavi e continua a dedicare la sua ricerca a questa particolarissima cavità) l’importanza di questa miniera preistorica tra le più antiche e meglio conservate d’Europa”.
Inizia così il racconto dell’ultimo tour dell’Associazione lametina “Le Città Visibili”.
”Il nome deriva da una formazione antropomorfa di calcite, presente all’interno, che richiama le sembianze di una monaca. L’ingresso è piuttosto ampio e domina l’alta valle dell’Esaro. L’interno è diviso in tre sezioni: la pregrotta, la sala dei pipistrelli e i cunicoli terminali. Dal tardo alto Paleolitico l’uomo ha frequentato questa cavità che non fu mai adoperata come abitazione ma venne sempre considerata un luogo di lavoro per estrarre minerali (ferrite, azzurrite, rame e svariati depositi minerari ferrosi). Per estrarli venivano usate pietre, ossa e corna di animali, ritrovati durante gli scavi. Anche il rinvenimento di macine conferma l’attività di lavorazione dei minerali estratti che qui si svolgeva. La Grotta è stata frequentata fino al periodo postmedievale.
Nel corso dell’età del Bronzo, i cunicoli più profondi della cavità hanno accolto delle fosse comuni; la quantità di femori, ossa e denti ritrovati ha consentito di risalire alla presenza di almeno un centinaio di corpi. Sono stati rinvenuti anche corredi funerari come vasetti per le offerte e conchiglie. Tra le ossa analizzate è presente un cranio femminile trapanato, esito di un rudimentale intervento curativo”.
“In compagnia della dott.ssa Laino e dello speleologo e ricercatore Carmine Gallo – prosegue il racconto – ci rechiamo alla Grotta, curiosi ed emozionati e, dopo una visita, a piccoli gruppi, fino all’ingresso dell’antro dei pipistrelli, con una coppia di essi che fa capolino svolazzando, Nicola, la nostra guida, ci propone un piccolo rito propiziatorio invocando la Grande Madre Terra. Certi della benevolenza di Gea, ci avviamo alla Baita Malieni, a San Donato di Ninea, dove ci rifocilliamo, coccolati dal gentilissimo proprietario Giuseppe e da tutto lo staff, e apprezziamo le innovative leccornie proposte, trascorrendo una piacevole pausa conviviale.
Per “Le Città Visibili” e di questo ringraziamo l’amministrazione comunale di Roggiano Gravina, c’è stata l’apertura straordinaria della Villa Romana in località Larderia (il nome, dal latino lardum = lardo, testimonia la diffusione dell’allevamento di suini, all’epoca molto importante in questa zona), dove arriviamo sotto una luce argentata che richiama le atmosfere nordiche, coadiuvate dai riflessi del lago artificiale, creato nel 1973 per imbrigliare le acque del fiume Esaro e quelle dell’Ocido che proprio quì si incrociano.
Durante quei lavori vennero alla luce i ruderi di un’antica struttura che portarono i responsabili della Soprintendenza alle Antichità della Calabria ad avviare due campagne di scavo, nel 1974 e nel 1975 e che hanno consentito di scoprire una sorta di villa-fattoria di età romana, databile tra il I secolo a.C. e il III secolo d.C. comprendente un vasto edificio termale e un’ampia zona in cui si allevavano suini e si coltivavano ulivi e grano. Le Terme hanno subito varie fasi edilizie; erano riservate al signore, alla sua famiglia e ai suoi ospiti ed erano un luogo di relax e di socializzazione. È proprio questa l’area che conteneva il maggior numero di mosaici recuperati, poichè gli ospiti dovevano rimanere colpiti dai raffinati e variegati decori: mosaici policromi, a tessere bianche e nere, motivi geometrici, vegetali e a scacchiera. La villa di Larderia è l’unica villa della Calabria settentrionale ad avere un così alto numero di mosaici pavimentali; da essi si sono ricavate importanti indicazioni: probabilmente i mosaici sono opera di artigiani locali, che lavoravano nel territorio della città di Copia (Sibari), su cui gravitava la valle dell’Esaro. Godiamo della calma rilassante del luogo, mentre Nicola ci parla della fauna che lo popola: cormorani, aironi, anatre germaniche e gruccioni. Spesso sostano brevemente anche le cicogne e nel 2020 sono stati avvistati addirittura alcuni esemplari di fenicotteri rosa. Scattiamo qualche foto, non abbiamo molta voglia di tornare a casa e saliamo sul pullman stanchi ma felici per l’ennesima piacevole avventura che “Le Città visibili” ci promette ogni volta. E ogni volta mantiene”.