Giornata mondiale contro l’omo-transfobia, la testimonianza di Riccardo Cristiano

Giornata mondiale contro l’omo-transfobia, la testimonianza di Riccardo Cristiano

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Giornata mondiale contro l’omo-transfobia, la testimonianza di Riccardo CristianoIl 17 maggio 1990, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) eliminò l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali, ma si dovette aspettare ancora quattro anni perché la decisione divenisse operativa, con la successiva pubblicazione del Dsm (Diagnostic and statistical manual of mental disorders), redatto nel 1994. È ironico, o meglio lo sarebbe se non fosse tragico, che si debba ancora oggi parlare di omofobia-transfobia, rimanendo cristallizzati in un passato che non se ne vuole andare, fatto di diritti negati e soprusi.

Il 17 maggio si celebra la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, istituita nel 2007 dall’Unione europea proprio per condannare le discriminazioni che ancora moltissime persone sono costrette a subire sulla base del loro orientamento sessuale.

Tre anni fa ho pubblicato il libro “Vi dichiaro uniti – Diario LGBTQI* una storia di ricerca, Amore e diritti civili” edito da Officine Editoriali Da Cleto, dove racconto i momenti più importanti alla ricerca di me, ma anche di persone simili a me. Partendo dall’infanzia, ho ripercorso le tappe della mia consapevolezza, raccontando gli incontri importanti che poi, il 27 maggio del 2017 mi hanno portato a contrarre unione civile con Marco Marchese, compagno da una vita. E’ il primo libro che parla della comunità LGBTQI* calabrese, il primo raccontato in prima persona, in un contesto a volte difficile come la Calabria ma che racchiude al suo interno, sorprese non indifferenti. Il fenomeno dell’omo-transfobia, è peggiorato nell’ultimo anno, facendo registrare un incremento del 9 per cento di abusi e violenze, anche a causa della pandemia di Covid-19, che ha esposto alcune persone a maggiore violenza domestica da parte di genitori o coinquilini omofobi. Un sondaggio effettuato nelle scuole della capitale, riflette la matrice culturale del problema: oltre il 34 per cento degli studenti pensa che l’omosessualità sia sbagliata e il 10 per cento ritiene sia una malattia. Manca una legge contro l’omofobia, perché di omofobia e transfobia di muore. Serve una tutela giuridica contro i crimini ad essa collegati, punendo così il reato di discriminazione e istigazione all’odio e alla violenza omofobica. Nel capitolo 34 del mio libro, “La nostra storia – I Moti di Stonewall” ricordo i soprusi subiti da chi voleva solamente essere libero di esprimersi, non togliendo nulla a nessuno, ecco uno stralcio dal libro:

“Il 27 giugno di mezzo secolo fa, esattamente nel 1969, presero vita i cosiddetti moti di Stonewall, dal locale Stonewall Inn, che si trova al numero 53 di Christopher Street, tra la West 4th Street e Waverly Place, nel Greenwich Village a New York. Era un ritrovo che dopo una certa ora, con la protezione della notte, ospitava coloro i quali erano additati come sbagliati e vi si rifugiavano per trovare qualche ora di conforto e spensieratezza. Erano gay, lesbiche, trans, ma prima di tutto persone alla ricerca di compagnia, spesso di una parola buona, di certo ragazzi e ragazze bisognose di non sentirsi malati. Quella sera, come ultimamente accadeva di frequente, la polizia irruppe nel locale con l’intenzione di fermare i presenti con l’accusa di unnatural attire or facial alteration, ovvero chi avesse avuto indosso almeno tre oggetti ritenuti gender non appropriati, così come recitava il Codice Penale Americano di allora. … La notte del 27 giugno, all’ennesima irruzione della polizia, accadde qualcosa di diverso e come per gli schiavi nei campi di cotone, qualcuno alzò la testa urlando “Basta!” Con tutto il fiato che aveva in gola. Basta a quei soprusi senza ragione. Non solo chi frequentava il locale, ma anche le persone in strada alzarono la voce e si narra che un tacco -altri parlarono di una bottiglia di birra- fu lanciato da una trans, Sylvia Rivera, in direzione dei poliziotti. Poi fu lanciato di tutto: sanpietrini, mattoni, bottiglie e ogni cosa potesse essere afferrata. Il resto è storia”.

Possiamo lottare quanto vogliamo, ma se la politica e le persone, non comprendono che, ognuno di noi è unico e va tutelato, non discriminato, allora non potremo mai considerarci un paese civile. Magari una legge non eliminerà le violenze, i suicidi, le umiliazioni, ma come per le unioni civili, sarà utile al cambiamento, quello verso la piena uguaglianza di fatto, pur rimanendo, nella propria individualità, una sfumatura irripetibile dell’arcobaleno.

contributo di Riccardo Cristiano


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