Lamezia e Reggio, un dualismo, quello con lo sport ed il calcio, che rappresenta a pieno il degrado sociale e la povertà amministrativa 

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di Marco Foti – Nei mesi scorsi ho voluto avviare l’esercizio della comunicazione pubblica a sostegno della Reggina. Un sostegno dovuto dopo il rischio corso nel Giugno dello scorso anno. Alla squadra però, al mister ed all’intero staff tecnico.
Faccio il mea culpa per quanto riguarda il resto.
Un mea culpa doloroso, sintomo di una illusione societaria che illo tempore ha colpito l’Intero popolo amaranto.
Ma come la storia insegna il calcio rappresenta lo specchio fedele della società. Una potente ed espressiva metafora che svela, meglio di quanto non farebbe qualunque indagine scientifica, i movimenti profondi e le dinamiche conflittuali tra uno (lo) sport più seguito in Italia, e non solo, e la città che ospita la squadra.
Una metafora che regge qualsiasi confronto a livello regionale e nazionale.
La Reggina e la città di Reggio sono espressione di uno stesso lietmotiv dove l’elemento ricorrente è la sufficienza (per essere ottimisti) organizzativa e l’assenza di governance. In entrambi i settori (città e squadra) le lacune sono evidenti: pressappochismo, superficialità, arrivismo.
Il dualismo si conferma anche in riva allo Stretto, ma se ci pensate bene supera il confine della città metropolitana sino ad insinuarsi nella provincia catanzarese, per la precisione a Lamezia Terme.
Non è un caso. La metafora regge il paragone anche nella cittadina in cui la squadra di calcio ha avuto la stessa proprietà della Reggina sino agli inizi di Luglio.
Un parallelismo di inefficienze che non fanno altro che confermare il dualismo richiamato più volte in cui le città sono specchio delle squadre di calcio.
Non vorrei essere tacciato di superficialità nel momento in cui pongo sullo stesso piano una città metropolitana (Reggio Calabria) ed una cittadina che negli anni ‘90 ha vissuto una primavera economica e sociale ed oggi affonda in un completo stato di abbandono.
Come d’altronde vive la città di Reggio, la mia città. Per chi ha vissuto gli anni dello splendore, il periodo in cui la città era alla ribalta nazionale per la centralità dell’agenda politica locale sul turismo e sul benessere dei reggini, memore di vittorie in relazione a battaglie istituzionali quali l’individuazione di Reggio come città metropolitana oppure l’introduzione dell’aeroporto di Reggio nel Piano nazionale degli aeroporti tra quelli di interesse nazionale. La città era la logica conseguenza del “fare” secondo programmazione ed organizzazione.
Elementi oggi che sono assenti in qualsiasi settore cruciale della città (assunzione che vale per entrambe le realtà poste a confronto): sviluppo urbano, trasporti, turismo, igiene, rifiuti, e così via dicendo.
Un dualismo, quello con lo sport ed il calcio, che rappresenta a pieno il degrado sociale e la povertà amministrativa di Reggio e Lamezia.
Non è un caso. Non è una coincidenza.
Il mea culpa, per rispetto della mia città, è doveroso.
Entrambe le città devono avere il coraggio di proiettarsi in un futuro (breve) caratterizzato da importanti sfide.
Entrambe le città devono avere il coraggio di cambiare passo, assumersi le proprie responsabilità e ricominciare da zero, tenendo in considerazione quanto è stato realizzato negli anni in cui le città brillavano di luce propria.
Ad maiora.

*Pugliese di origini, Marco Carmine Foti ha vissuto e studiato a Reggio Calabria dove si è laureato in Ingegneria Civile e specializzato nel settore dei trasporti e della logistica. Vive e lavora a Genova dove svolge la sua attività professionale prevalentemente nel campo della pianificazione e progettazione dei trasporti, studi di fattibilità tecnica e analisi economico-finanziarie, piani di riqualificazione e studi di sistemi ed infrastrutture di trasporto. Membro della Commissione Trasporti dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Genova, è stato più volte selezionato tra gli esperti di riferimento per il MIT.


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