“Il Cammino di San Francesco di Paola è stato ideato per ripercorrere i principali viaggi compiuti dal Santo, eremita e fondatore dell’Ordine dei Minimi, ed è un percorso riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività culturali inserito nell’Atlante dei Cammini d’Italia.
Il percorso consta di tre itinerari: la Via del Giovane, la Via dell’Eremita e la Via dei Monasteri, ciascuna con la storia legata ad una particolare fase della vita del taumaturgo. Il Cammino non vuole essere soltanto “di memoria storica, ma anche di tradizioni, di identità culturale, di sostenibilità ambientale, di conoscenza di luoghi tanto belli quanto inesplorati”.
Tra i paesi attraversati nel Cammino di San Francesco di Paola, la Via dell’Eremita passa per Mendicino (tratta Paola-Paterno Calabro e viceversa), piccolo centro alle falde dello splendido e inconfondibile Monte Cocuzzo. È un luogo assai suggestivo con vicoli a gradoni, piazzuole, antichi palazzi, in cui le storie antiche e le tradizioni si intrecciano e oggi rivivono grazie all’impegno dell’amministrazione comunale e di alcuni appassionati e infaticabili abitanti, come Francesco La Carbonara, Lucia Parise e Franco Barca che fanno a gara per fornirci notizie e curiosità sulla loro cittadina. Grazie a loro l’interessante e sorprendente visita di questo piccolo gioiello ha arricchito ulteriormente il carnet di viaggi delle Città Visibili. Arrivando nel centro storico, tra il verde e i colori della primavera spiccano le macchie bianche e viola degli iris che caratterizzano la zona; la natura rigogliosa si alterna a pareti di roccia, strapiombi, verdi vallate e colline fiorite, montagne scoscese e maestose. Il borgo antico rappresenta sicuramente la zona più caratteristica del paese che merita di essere visitata, rigorosamente a piedi. Da Piazza Duomo ammiriamo la Chiesa di San Nicola di Mira, aperta appositamente per Le Città Visibili; secondo alcune fonti una chiesa intitolata al Santo esisteva già nel ‘600 ma nel corso degli anni si sono susseguiti vari rimaneggiamenti (anche a seguito dei vari terremoti, tra i quali quello del 1852) fino alla struttura attuale.
La facciata è in pietra rosa di Mendicino (calcarenite) e sul portale Francesco guida ambientale ed escursionistica ci fa osservare rocce da sedimentazioni carsiche con impronte fossili di bivalve. Ci spiega brevemente la formazione di queste rocce che, nelle zone circostanti, hanno dato origine a grotte con stalattiti e stalagmiti. Il finestrone sulla sinistra raffigura il vescovo di Mira con tre perle in mano; Francesco ce ne racconta la storia: San Nicola venne a sapere di una famiglia nobile e ricca caduta in miseria, motivo per il quale il padre, vergognoso dello stato di povertà in cui versava, decise di far prostituire le figlie. San Nicola, di nascosto, fece scivolare dalla finestra, nell’abitazione dell’uomo, tre perle con cui il padre poté far sposare le figlie e risparmiare loro la tremenda alternativa.
A Mendicino il 6 dicembre si scambiano come dono tre piccoli panini tondeggianti, uniti tra loro. La tradizione è quella di far recitare ai bambini una filastrocca per la quale ricevono in dono i panetti sferici. L’interno della chiesa è a tre navate; notevole un affresco del 1913, mentre ai lati sono presenti varie cappelle; in quella di San Nicola sono conservate da decenni due reliquie: la sacra manna e un frammento di canino. L’icona raffigurante il Santo vi è stata posta negli anni 2000. Tra le altre cappelle notiamo quella dedicata a San Francesco di Paola, quella di madre Elena Aiello (che creò un istituto per ragazze madri e orfani) in cui è conservato un fazzoletto pieno del sangue delle sue stimmate, la cappella di San Pio da Pietrelcina, di S. Rita e del SS Cuore di Gesù.
Proseguiamo la nostra visita alla Torre dell’orologio, risalente al 1906, costruita dopo il terremoto dell’ anno precedente, oggi simbolo del paese. Domina un bellissimo panorama ed è una costruzione a base quadrata che presenta tre orologi circolari su tre lati; i puntualissimi rintocchi scandiscono la nostra giornata. In questa cornice Francesco ci racconta la storia del paese, citato, peraltro, nell’opera del medico e naturalista napoletano Michele Tenore “Viaggio in alcuni luoghi della Basilicata e della Calabria citeriore effettuato nel 1826”, da cui estrapola un passo che descrive la florida gioventù mendicinese, a riprova del benessere e del fulgido passato economico di quest’area, grazie alla coltivazione del gelso e alla produzione e lavorazione della seta di pregiata qualità. Francesco ci fa successivamente notare una serie di palazzi e scorci che visiteremo da vicino; siamo incuriositi da alcuni decori simili a centrini, visibili sui muri di alcune costruzioni. Ne è autrice l’artista polacca contemporanea NeSpoon che, ispirata da pizzi e merletti, li ha ricreati, attraverso stencil e vernici, sulle facciate dei palazzi, durante un recente festival di Street Art tenutosi a Mendicino. Installazioni, con centrini veri e propri, opere di Lucia Parise (che gestisce anche un piccolo laboratorio in paese, in cui produce borse, scialli e oggetti, riutilizzando stoffe, filati lavori di crochet di Riccardo Torri Gerbasi, un bolognese trapiantato a Mendicino) ne riprendono la tematica in vari angoli delle strade e dei piazzali.
Ci incamminiamo verso Palazzo Campagna (voluto dal nobile Carlo Del Gaudio tra il 1780 e il 1784, come si evince dall’iscrizione sullo stemma nobiliare all’ingresso della costruzione), il più importante palazzo nobiliare di Mendicino, dove ci attendono varie sorprese, come in un gioco di scatole cinesi. Partiamo dalla singolare mostra permanente “I Maccaturi” nata da un’idea di Adele Lo Feudo e Gianni Termine. Come ti riinvento l’indumento più popolare della tradizione e del costume calabrese in “un omaggio al mondo femminile del passato”: i “maccaturi” diventano un pretesto per celebrare la bellezza del paesaggio calabrese, il valori degli affetti, delle emozioni, la forza simbolica del colore, l’artigianato (alcuni maccaturi sono in seta dipinta), la creatività coniugata attraverso molteplici tecniche artistiche…
Passiamo poi, al Museo Storico “Juovi Santu”, dove sono custodite testimonianze fotografiche (solo alcune, per ora), statue e arredi in cartapesta (opera dell’artista Franco Barca), diorama e costumi utilizzati durante la processione che si tiene da oltre un secolo e coinvolge figure inusuali come gli angeli e “u pinnune” (staffetta romana, impersonata da un giovane atletico e scattante, che corre richiamato da trombe e poi da tamburi verso il Cristo, che verrà da lui dileggiato e condotto verso la Croce. Si instaura, poi, una sorta di gioco tra la folla che chiama il soldato romano da una parte all’altra con la finalità di affaticarlo e stremarlo), mentre i canti di” i mistiari” a più voci recitano la Passione ed eseguono in sottofondo canti antichi a cappella, musicati da musicisti amatoriali. Oltre quattrocento costumi sono stati noleggiati da Cinecittà per l’evento del 1976 prodotti per il film Ben Hur per allestimenti degni di una vera e propria rappresentazione teatrale e sul muro troneggiano diversi premi e riconoscimenti ottenuti. Il Museo è nato durante la pandemia dall’idea dell’Associazione “Juovi Santu” e verrà completato con numerose altre foto delle rappresentazioni nel tempo e da diorama e plastici in cartapesta realizzati da Franco Barca, autore, attore e regista teatrale e cinematografico.
Prima di lasciare il palazzo, visitiamo in anteprima le opere in cartapesta dedicate al grande Totò, che il maestro sta realizzando per una mostra a tema di prossima realizzazione. Un rapido sguardo al bellissimo Palazzo Campagna ci fa scoprire ambienti bellissimi in corso di restauro e decorazioni raffinate e ricercate. Uno sguardo, uscendo, alla Chiesetta di San Giuseppe (o degli ultimi, poiché pare venne costruita per ospitare i poveri e i barboni a cui non era consentito l’ingresso in duomo), che poggia sulla nuda roccia ed è chiusa dal 1930.
È ora di pranzo e ci avviamo al ristorante “Il nostro” dove gustosissimi piatti della tradizione calabrese ci rimettono in moto per la continuazione del nostro tour pomeridiano in cui ci conduce Lucia.
Ci immergiamo nei vicoletti per ritrovarci affacciati sulla verde rigogliosa vallata del Parco Fluviale e giungere alla Filanda e al Museo Dinamico della Seta. Il Museo, riaperto al pubblico nel 2015, è articolato in diversi ambienti ed è realizzato all’interno dell’antica Filanda Del Gaudio che mantiene l’aspetto e i macchinari originali, tuttora funzionanti. Lucia ci introduce nella storia della filanda e ci illustra il lungo paziente percorso della seta, mostrandoci i vari arnesi utilizzati e leggendoci documenti originali che testimoniano l’ampio smercio dei preziosi filati in varie regioni italiane. Veniamo, inoltre, a sapere che, queste preziose sete venivano vendute al consorzio della seta di San Leucio da dove raggiungevano le corti europee, in primis quelle di Francia. All’interno del Museo Francesco ci riassume la lavorazione della trattura, ci fa vedere i bozzoli essiccati e mostra praticamente l’operazione di dipanamento dei fili dai bozzoli fino a formare un unico filo per essere avvolto in forma di matassa. Appena ci propone di provare, più di una signora si cimenta nell’operazione, con attenzione e destrezza. Intorno a noi ammiriamo coperte e indumenti creati in seta, immaginando la fatica e la pazienza che sta dietro ad ogni singolo pezzo. Il tempo è volato e raggiungiamo il nostro pullman, ancora una volta soddisfatti della piacevolissima giornata trascorsa scoprendo cose nuove in compagnia di amici”.
Nota a cura dell’associazione lametina “Le Città Visibili”.