Memoria è r-esistenza attiva e testimonianza di un impegno concreto contro ogni forma di violenza e sopraffazione. Queste idee hanno animato la Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti di mafia organizzata dal progetto Pedagogia dell’Antimafia del Dipartimento Culture, Educazione e Società dell’Università della Calabria e dall’Istituto Ciliberto di Crotone in collaborazione con la rete delle scuole di Barbiana 2040 e l’associazione R-Esistenza Anticamorra Scampia.
Il webinar Storie di vite spezzate. Il dovere di non dimenticare è stato introdotto da Giancarlo Costabile, del Laboratorio didattico di Pedagogia dell’Antimafia Unical, e da Rossella Frandina, docente di Lettere del Ciliberto, che hanno sottolineato l’importanza educativa della memoria nel processo di civilizzazione umana. La memoria è l’antidoto alla società dell’oblio e dell’indifferenza perché proietta le coscienze verso quel noi collettivo che è l’atto fondativo di ogni bene comune.
A seguire le testimonianze di Pietro Canonico, Francesca e Giovanni Gabriele, genitori di Gianluca e Dodò, vittime innocenti di mafia. Una voce rotta dall’emozione, quella di Pietro Canonico, racconta gli ultimi istanti di vita di un bambino a cui è stato sottratto il diritto alla vita. La mente, attraverso il racconto, torna indietro nel tempo, all’8 luglio del 1985. A Reggio Calabria si tiene la tradizionale festa patronale. Gianluca gioca con i suoi amici. Poi tre colpi. Pietro, che è un poliziotto, dice di riconoscere subito quel tonfo. Sono tre spari. Il piccolo Gianluca è a terra. Lo hanno colpito. E, d’un tratto, non c’è più speranza. Non c’è più Gianluca. Non c’è più niente. In un attimo, che ha il sapore dell’eternità, ancora una volta, le mafie hanno spezzato i sogni di un bambino innocente che desiderava solo volare.
Oggi rimane il dolore straziante di un padre. E una vicenda giudiziaria poco chiara. Quando il cuore di Gianluca smette di battere, infatti, un ragazzo di soli 17 anni, si costituisce. Verrà condannato a soli 14 anni e 6 mesi di reclusione. Resta, a rinnovare un dolore mai sopito, la nota della Questura di Reggio Calabria, nella quale si afferma “che la pistola consegnata dal minore non è l’arma che ha sparato quella sera”.
Anche Francesca e Giovanni Gabriele ricordano quel 20 settembre del 2009 quando, dopo tre mesi di coma, viene spezzata, da un sicario che spara all’impazzata sul campetto in cui giocava, la vita di Dodò Gabriele, un bambino di soli 11 anni. Giovanni racconta di non aver fatto caso a quei colpi all’inizio, di essere andato incontro al piccolo, di averlo preso in braccio. Ma Dodò già non c’era più.
Le parole di Pietro, Francesca e Giovanni, in una giornata in cui il ricordo si fa testimonianza di vita, fanno memoria. Non la memoria sterile delle celebrazioni, ma quella viva della responsabilità e della coerenza. Della scelta, non scontata e mai banale, del bene e dell’amore.
Le vite spezzate di Gianluca e Dodò, le vite distrutte di tutte le vittime di mafia insegnano a noi tutti, ripetono Alessandra Costarella e Danilo Loprete del team gli Scaricati del Ciliberto di Crotone, una grande verità condensata in una frase del giornalista Mauro Rostagno: “La mafia ti umilia: calati junco che passa la piena. Agli uomini capita di mettere radici, e poi il tronco, i rami, le foglie… quando tira vento, i rami si possono spaccare, le foglie vengono strappate via: allora decidi di non rischiare, di non sfidare il vento. Ti poti, diventi un alberello tranquillo, pochi rami, poche foglie, appena l’indispensabile. Oppure te ne fotti. Cresci e ti allarghi. Vivi. Rischi. Sfidi la mafia, che è una forma di contenimento, di mortificazione”. Ecco, noi abbiamo deciso di allargarci, di vivere. Di non sopravvivere, ribadiscono i ragazzi. E abbiamo scelto di farlo dedicandoci a pratiche di cittadinanza attiva. Lo dobbiamo a quelle vittime che, vive nel nostro ricordo, ci indicano la via da seguire.
Ecco perché, dice Cristian Casella, è importante scegliere dei modelli a cui guardare. Perché in una regione, come questa, in cui se combatti il malaffare vieni bollato ma se sei un ladro conclamato ti rendono onore, un modello a cui guardare credo che ci sia: il Procuratore Nicola Gratteri.
A concludere l’incontro, il leader di R-Esistenza Anticamorra Scampia, Ciro Corona, fondatore dell’Officina delle Culture Gelsomina Verde nel problematico quartiere alla periferia nord di Napoli. Al centro del suo intervento i limiti dell’antimafia borghese e la necessità di un nuovo approccio dal basso nel contrasto alla cultura mafiosa, per la costruzione di reti civiche di democrazia partecipativa. Un’antimafia sociale che, opponendosi all’antimafia dei palazzi, sia in grado di educare rimanendo in mezzo alla gente. Quotidianamente. Perché le mafie non sono state sconfitte. Perché la battaglia è ancora aperta.
La lettera degli Studenti del Ciliberto di Crotone – team gli Scaricati – a Nicola Gratteri letta durante gli interventi
Egregio Procuratore Nicola Gratteri,
a scrivere questa lettera è un gruppo di studenti del Ciliberto di Crotone convinti che solo coltivando, fin da giovani, una sana cultura del rispetto delle regole si possa diventare adulti responsabili. In una conferenza da lei tenuta, lo scorso anno, nella nostra città, ha invitato i giovani ad occupare quegli spazi che, grazie all’azione sinergica delle forze dell’ordine, sono stati liberati dal peso della ’ndrangheta. Noi questo vorremmo farlo, vorremmo riappropriarci, in maniera consapevole, della nostra terra. Per questo motivo abbiamo deciso di dedicarci ad attività di cittadinanza attiva. In una società, quale è quella calabrese, nella quale rispetto al fenomeno mafioso si è, spesso, o complici o indifferenti, abbiamo la voglia di sentirci cittadini di una terra della legalità che resiste e combatte. Noi vorremmo vivere la nostra terra, andare alla scoperta di quelle realtà sociali che rappresentano un aspetto diverso rispetto all’universo ’ndranghetista e che, con coraggio e tenacia, questa terra la difendono. Affinché questo sia possibile avremo la necessità d’incontrare l’altro, di confrontarci con quanti, fra associazioni, magistrati, forze dell’ordine, cittadini, studenti, rappresentano un presidio di lotta e sicurezza per questa terra bellissima e disgraziata. In luoghi come quelli in cui viviamo la ’ndrangheta ostacola la crescita di attività commerciali, ostacola lo sviluppo del territorio: è una mano invisibile che sovrasta tutti e tutto. È parte integrante della nostra città, ci viviamo a stretto contatto. Rispetto a tutto questo molto spesso predomina il Silenzio.
Noi però abbiamo un viso, un nome.
E vogliamo mostrarlo. Gridarlo.
Siamo stufi della gente che volta le spalle, di chi non fa nulla, di chi si sente inferiore, di chi fa vincere l’indifferenza e il silenzio.
Noi non siamo così.
Siamo ragazzi, abbiamo voglia di farci ascoltare, di urlare quanto la mafia faccia schifo, quanto la mafia non ci appartenga, quanto la ’ndrangheta sia altro da noi. Noi vogliamo farci bruciare dal sole d’estate, non da pallottole di fuoco. Vogliamo correre nei campi, sentire il vento sul viso, sorridere. Vogliamo sentirci liberi di essere ciò che siamo, di non appartenere a nessuno, se non a noi stessi. Crediamo nella nostra terra ma soprattutto crediamo nei cittadini onesti che vi abitano. Il Coraggio, la determinazione, la libertà, una scuola che faccia cultura, sono la nostra possibilità di cambiamento, il nostro futuro. Siamo studenti, abbiamo un nome, può chiamarci Alessandra, Cristian, Davide, Francesco oppure Emanuela Sansone, Rossella Casini, Dodò Gabriele, Peppino Impastato, Gianluca Canonico, poco importa, perché, alla fine, vittime delle mafie lo siamo tutti. Chi tace e acconsente, perché il non dire niente è già una risposta, chi va via da questa terra portandola con sé, chi pensa che ciò che lo circonda non gli appartenga. Siamo qui e siamo chiamati a fare di tutto per cambiare qualcosa, per dare un volto alla giustizia, per dare valore a chi ha compreso, a chi ha rotto il silenzio, a chi ha pagato tutto con la propria vita. Noi siamo ragazzi, non amiamo il silenzio, la reclusione e l’appartenenza. Noi siamo e non abbiamo paura di parlare, urlare e farci sentire. Per questo vorremmo ringraziarLa per avere dedicato tutta la Sua vita alla giustizia, a seminare parole di legalità dove prima imperava arbitrio e malaffare.
Grazie per averci fatto intraprendere questo lento e difficile processo di cambiamento, fondamentale per la creazione di una coscienza collettiva.
Grazie per averci aiutato nel nostro processo di crescita.
Grazie per la Speranza che, attraverso il Suo lavoro, sta donando a noi e a questa terra. Perché è anche grazie a Lei se continuiamo a credere nelle istituzioni e sogniamo di essere liberi di crescere liberi.