Una breve guida a cura degli ingegneri chimici alimentari dell’Unical per la Giornata mondiale della pizza che cade il 17 gennaio.
Secondo il Disciplinare di produzione della specialità tradizionale garantita, la “Pizza Napoletana” è una preparazione alimentare costituita da un supporto di pasta lievitata, condita e cotta in forno a legna.
La preparazione artigianale dei pizzaioli professionisti segue rigidi protocolli certificati dal Disciplinare, mentre la preparazione industriale è subordinata ad aspetti tecnici tipici dell’Ingegneria chimica alimentare che ne seguono il processo dalla preparazione dell’impasto base e delle salse di condimento fino alla cottura. Con qualche piccola accortezza, la scienza ci aiuta a trasferire queste competenze professionali ad una procedura casalinga.
Gli ingredienti dell’impasto base prevedono l’uso di farina di grano tenero, lievito di birra, acqua naturale potabile, e, per il condimento, pomodori pelati e/o pomodorini freschi (che hanno il giusto contenuto d’acqua per garantire la migliore umidificazione dell’impasto durante la cottura), sale marino o da cucina, olio d’oliva extravergine, mozzarella di bufala o fiordilatte ed altri ingredienti secondari quali il basilico fresco, l’origano e ciò che ci suggeriscono tradizione e gusti personali. La differenza principale tra farina 0 e 00 consiste nel grado di “raffinazione” del grano tenero e nel contenuto di proteine: la farina 00 è maggiormente “raffinata” (contenuto massimo di ceneri fino a 0.55%) e può avere un minore contenuto proteico (minimo il 9%) mentre la 0 è meno raffinata (contenuto massimo di ceneri fino a 0.65%) e deve avere almeno l’11% di contento proteico.
Tra quelle citate, le farine che è opportuno usare anche a casa sono quelle con un maggiore contenuto di proteine che danno origine alla maglia glutinica capace di formare un reticolo tridimensionale nell’impasto che a sua volta stabilizza i globuli di amido e le bolle di gas che si originano durante la lievitazione.
Questa microstruttura consente di ottenere il tipico impasto elastico della pizza e la fragrante alveolatura che rende unico questo piatto. Consigliamo di prendere nota dell’indice “W” della farina che, secondo il disciplinare, dovrebbe essere compreso tra 250 e 310. Questo parametro, ottenuto con l’alveografo di Chopin, fornisce una misura della “forza” della farina ovvero della sua capacità di trattenere il gas durante la lievitazione. Con valori alti di W la farina è forte, con valori bassi la farina è debole. Per impasti a lunga lievitazione è consigliabile avere valori elevati di W. Se non è noto il valore di W è consigliabile usare farine con un contenuto proteico (riportato per tutte le farine nell’etichetta nutrizionale) tra 11% e 13.5%.
La farina “Manitoba”, della quale a volte si sente parlare, è una farina (deve il suo nome ad una specifica regione del Canada) con un elevato contenuto proteico ed un’elevata “forza”. Può essere utile, da sola o in miscela con altre farine, soprattutto quando si prepara un impasto a lunga lievitazione.
La fase di impastamento deve essere lenta e non troppo energica per consentire il corretto sviluppo della maglia glutinica ed evitare un overprocessing dell’impasto: con l’uso di un’impastatrice, 20 minuti sono sufficienti per garantire la completa idratazione dell’amido che rigonfia in presenza di acqua.
Il lievito di birra può essere sia secco sia fresco (tipicamente 1 g di lievito secco corrisponde a 3 g di fresco) e può essere aggiunto all’inizio del processo di impastamento sia tal quale sia rinvenuto precedentemente in acqua e zucchero (per 1 g di lievito secco, basta un bicchiere d’acqua e 1 cucchiaino raso di zucchero). Il rinvenimento consente al lievito di avviare la cinetica di lievitazione sfruttando lo zucchero come substrato attivante.
A fine lievitazione l’impasto deve risultare compatto, non appiccicoso, morbido ed elastico, caratteristiche studiate industrialmente dalla Reologia, scienza che studia le proprietà meccaniche di materiali intermedi tra liquidi e solidi.
La lievitazione della massa intera può essere effettuata a 25°C circa per circa due ore, al termine delle quali si formano panetti più piccoli (la cosiddetta fase di “staglio”) che possono essere sottoposti ad una seconda lievitazione (per almeno 6 ore). Per evitare che l’impasto si essicchi in superficie perdendo acqua, si consiglia di coprirlo con un panno umido.
Una volta stesa e condita, la pizza Napoletana artigianale dovrebbe essere cotta in forni a legna con temperatura di platea e volta pari a 485°C circa e 430°C circa, rispettivamente. La cottura deve essere molto rapida (circa un minuto e mezzo).
A livello domestico, questo processo è impossibile da riprodurre, ma due tecniche alternative e molto soddisfacenti possono essere ugualmente proposte: la prima consiste nella doppia cottura: 3-5 minuti su una padella o testo romagnolo su fornello seguita da ulteriori 5 minuti in forno con grill a massima temperatura (ciò consente una cottura uniforme della piazza sia alla base che in superficie). La seconda tecnica consiste nell’uso di una pietra refrattaria, piastra di materiale naturale, come cordierite o argilla, la cui porosità e capacità di accumulare calore, consentono una cottura omogenea del fondo della pizza. La pietra refrattaria, scaldata in forno elettrico alla massima temperatura con tempistiche che variano in base al tipo di materiale, ma che comunque si aggirano sui 30/40 minuti, è la base su cui appoggiare con la pala la pizza (andrà poi lasciata cuocere per 5-10 minuti): la cottura della superficie è quindi garantita dalla presenza del grill.