Francesco Conti, esperto di terrorismo e radicalizzazione, ha tenuto una lezione dal titolo: “Norme Giuridiche ed Approccio Culturale per Combattere il Terrorismo Islamico” nel corso del Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Conti ha approfondito i programmi realizzati dall’Onu per il processo di deradicalizzazione dei terroristi islamici, soffermandosi in particolar modo su quello sviluppato in Arabia Saudita.
A proposito ha affermato che “il programma di deradicalizzazione dell’Arabia Saudita è uno dei migliori del mondo. Avviato nel 2005 si articola in tre fasi: il counseling, che serve per confutare le false credenze religiose; la riabilitazione che riguarda l’aspetto sociale e psicologico; la cura che si concentra su reinserimento sociale del soggetto che intende deradicalizzarsi.
Il programma – ha detto ancora – mira essenzialmente a un corretto insegnamento della shari’ah nonché al supporto psicologico, psichiatrico e medico, perché molti foreign fighters hanno avuto traumi durante la loro attività e c’è anche chi soffriva di disturbi precedenti”.
Altro aspetto fondamentale nel programma di recupero e reinserimento nella comunità islamica è il supporto economico. “Molti dei soggetti che decidono di arruolarsi per combattere la guerra santa – ha precisato – provengono da zone poverissime. Consentire loro di acquistare una casa o pagare la dote della sposa significa la possibilità di cambiare vita. E’ fondamentale inoltre il coinvolgimento della famiglia e della tribù”.
Conti ha poi fatto riferimento a una ricerca realizzata dall’International Centre for the Study of Radicalisation and Political Violence: “Lo studio ha dimostrato che la maggior parte dei foreign fighters sauditi ha una scarsa educazione e conoscenza religiosa, che circa il 70% parte di essi erano celibi al momento della partenza verso lo Stato Islamico e che la maggior parte di essi proveniva da Al Qassim la regione più povera e contemporaneamente più conservatrice”.
Ha sottolineato inoltre l’importante ruolo svolto dall’intelligenge saudita nel corso del programma di deracalizzazione. Infatti, “l’intelligence ha svolto azione di controspionaggio sorvegliando i beneficiari del programma. Questa attività viene svolta per renderli maggiormente consapevoli della necessità del rispetto della legge”.
Conti ha poi fatto riferimento a due risoluzioni dell’Onu per il contrasto al terrorismo. In particolare ha sostenuto che “la risoluzione n° 2178 del 2014 del Consiglio di Sicurezza è di particolare interesse perché in essa viene definita la fattispecie dei foreign fighters, chiedendo agli Stati di prevenire e reprimere condotte che riguardano il reclutamento, l’organizzazione ed il trasporto di individui da parte dello Ststo islamico. Questa risoluzione ha provocato a cascata una serie di leggi nei singoli Paesi. In fale quadro, si è inciso sull’utilizzo dei social e sull’attività di intelligence per prevenire e contrastare i fenomeni terroristici.
L’altra risoluzione di grande significati è la n° 2396 nella quale si invitano gli Stati a predisporre ed implementare programmi di riabilitazione e di integrazione calibrati e personalizzati su ogni singolo Foreign Fighters”.
Conti ha concluso ricordando che presso l’Onu esiste un organo di prevenzione al terrorismo, il Terrorism Prevention Branch, che fornisce un supporto tecnico agli Stati e aiuto per il rimpatrio dei foreign fighters, basando la sua strategia su quattro pilastri: screening, prosecution, riabilitation e reintegration.